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Percorsi di visita

Arche Aragonesi

Le casse lignee, rivestite di tessuti preziosi, contengono i corpi mummificati dei re aragonesi e di illustri membri della corte napoletana che, in un’epoca compresa tra il Cinquecento e l’Ottocento, scelsero la basilica di San Domenico Maggiore e, quindi, la Sagrestia come luogo di sepoltura.

Il ballatoio pensile della Sagrestia custodisce quarantadue tombe, note come Arche Aragonesi. Le casse lignee, rivestite di tessuti preziosi, contengono i corpi mummificati dei re aragonesi e di illustri membri della corte napoletana che, in’unepoca compresa tra il Cinquecento e l’Ottocento, scelsero la basilica di San Domenico Maggiore e, quindi, la Sagrestia come luogo di sepoltura.

Alcune tombe sono contraddistinte da elementi decorativi – stemmi, tabelle identificative, armi, sfere e corone – e da ritratti settecenteschi.

A partire dall’ultimo ventennio del Novecento, nell’ambito dei lavori di restauro delle casse, le salme furono prelevate dalle tombe e studiate da un’équipe della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, sotto la guida di Gino Fornaciari. Queste operazioni si rivelarono particolarmente significative da un punto di vista scientifico ma anche storico, poiché in tale occasione si scelse di prelevare gli abiti indossati dalle mummie: le salme erano, infatti, vestite di tutto punto.

In controfacciata sono collocate in posizione di rilievo le quattro arche dei sovrani aragonesi, ricoperte in bianco:

Arca XXIII, Alfonso V d’Aragona, detto il Magnanimo (1396-1458)
Arca XXII, Ferdinando I d’Aragona, detto Ferrante (1424-1494)
Arca XX, Ferdinando II d’Aragona, detto Ferrandino (1467-1496)
Arca XIX, Giovanna IV d’Aragona (1478-1518)

L’attuale sistemazione delle arche è riconducibile al progetto di restauro ideato da Giovan Battista Nauclerio agli inizi del Settecento. Queste tombe illustri, infatti, erano originariamente collocate nella tribuna della basilica di San Domenico Maggiore, da dove furono spostate per preservarle dai ripetuti incendi, come quello divampato nel dicembre del 1506, documentato dalle cronache dell’epoca.